La difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è una delle tante criticità del SSN che sono state messe in evidenza dalla pandemia. Ad acuire le difficoltà al tempo del COVID erano le “Linee di indirizzo per l’interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine” emanate dal Ministero della Salute nel 2010. Queste restringevano molto le possibilità di interrompere la gravidanza mediante un farmaco (RU486), utilizzabile in regime ambulatoriale, in sostituzione dell’intervento chirurgico a cui si ricorre ancora in Italia nella maggior parte dei casi. Le limitazioni poste erano di tipo temporale (l’IVG farmacologica può essere effettuata solo entro 49 giorni di gestazione) e “logistiche” (deve essere effettuata con ricovero ospedaliero, il più delle volte di alcuni giorni). A giugno il Ministro Speranza, avendo dato ascolto alle richieste delledonne ed alle Società Scientifiche dei Ginecologi, ha chiesto un parere al Consiglio Superiore di Sanità; oggi ha annunciato di aver accolto il parere del Consiglio Superiore di Sanità, ammettendo l’IVG farmacologica sino a 63 giorni di gestazione e la sua effettuazione in regime ambulatoriale.
Questa scelta è importante per diversi ordini di motivi:- si supporta il ricorso alle “tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose” come previsto dalla legge 194 (art. 15)- si promuove l’appropriatezza clinico-assistenziale, evitando ricoveri ospedalieri inutili e costosi- si ripropone la centralità dei consultori a supporto della salute delle donne
Ora le Linee di Indirizzo ci sono. L’ulteriore impegno di Art1 è di renderle operative.