RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) di A. Corgiat

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Articolo 32, 1 comma, della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
Articolo 2 della Costituzione Italiana “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
Articolo 23 della Costituzione Italiana “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Articolo 2 della legge n. 833/1978, “il Servizio sanitario nazionale è tenuto ad assicurare la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata”. Pertanto il Servizio sanitario deve provvedere, per Legge, a tutti gli infermi siano essi giovani, adulti o anziani, guaribili o non guaribili, autosufficienti o non autosufficienti, ricchi o poveri.
Residenze per Anziani, Residenze Sanitarie Assistenziali, Residenze Assistenziali Flessibili, Case Famiglia, Case di Riposo, Hospice, Ospedali per acuzie e di post acuzie, e poi Continuità Assistenziale a Valenza Sanitaria, Riabilitazione Fisica e Funzionale, Cure Primarie, Case della Salute, Parchi della Salute, Città della Salute, Lungodenza, Dimissioni Protette, Centri Diurni, Comunità Alloggio, e altro ancora. Sono solo alcune delle tante denominazioni e sottili distinzioni date alle esigenze di cura di una parte crescente della popolazione italiana.
Ognuna di queste parole è abbinata ad una “tariffa”, e a standard assistenziali spesso minuziosi (numero di infermieri, di OSS, di medici, minutaggi di riabilitazione, di assistenza per ogni posto letto, per ogni reparto).
Con il virus è emerso ciò che già si sapeva, questa babele di soluzioni in realtà nasconde una grande fragilità del sistema sanitario nazionale e soprattutto un sostanziale scostamento con quanto stabilito dalla Costituzione: il diritto fondamentale alla salute e il diritto alla cura.
Quando si parla di Servizio Sanitario Nazionale, anche in questi giorni, ci si riferisce sostanzialmente alla rete ospedaliera, ai farmaci e ai sempre più scarsi servizi territoriali delle ASL. In questi anni i notevoli progressi tecnologici unitamente alla giusta necessità di ridurre i costi di sistema (appropriatezza delle cure) hanno ridotto i tempi di degenza negli ospedali per le fasi acute delle malattie, assegnando a strutture accreditate di lungodegenza e di riabilitazione e alle RSA il compito di occuparsi rispettivamente della non autosufficienza post fase acuta e della non autosufficienza in generale.
Il sistema pubblico ha autorizzato e accreditato strutture private sulla base di parametri strutturali e sanitari remunerando le prestazioni con tariffe a posto letto differenziandole per complessità assistenziali.
Alle RSA in particolare è stato delegato il compito di “contenere” le conseguenze delle malattie croniche e dell’invecchiamento. Il Servizio Sanitario Regionale copre il 50% della tariffa e il restante 50% è lasciato a carico “dell’ospite” (termine spesso usato per negare il diritto alla cura che scatterebbe solo con il riconoscimento della malattia ovvero del “paziente”). I Comuni dovrebbero contribuire (tramite i loro consorzi) alle cosiddette quote alberghiere nel caso il reddito dell’ospite (ma in realtà paziente) non fosse sufficiente.
L’esperienza, anche quella recente, ci dice però che il ricovero in RSA (perchè di ricovero si tratta) avviene con grandi difficoltà e con oneri molto significativi sia per la persona che, in molti casi della famiglia.
Il crescente interesse di imprese e costruttori alle RSA deriva dal “reddito sicuro” che fino ad ora hanno garantito a fronte di un settore (quello dell’edilizia) fortemente in crisi ed instabile. Invecchiamento della popolazione, riduzione dei tempi di degenza presso gli ospedali, allentamento dei vincoli famigliari, scarsità degli investimenti in cure e assistenza domiciliare da parte di ASL e Comuni, disinteresse della politica a modelli fondati maggiormente su diritti esigibili anziché su “dipendenze” più o meno forti, graduatorie, raccomandazioni, conoscenze e scarsa autonomia. Sono questi tutti fattori che, unitamente ai tagli al fondo nazionale per l’assistenza e alla spesa sanitaria hanno causato il mancato riconoscimento al diritto di cura per le malattie croniche.
I contagi nelle RSA hanno messo in evidenza l’inadeguatezza non tanto e solo dei protocolli di cura di queste strutture, ma la distanza di questo modello dai bisogni di flessibilità e di relazione con i servizi territoriali del servizio sanitario.
La “colpa” non è da ricercare in un destino cinico e baro, e neppure nella negligenza di questo o quel direttore sanitario o presidente di consiglio di amministrazione. Se c’è stata sarà comunque la magistratura ad accertarla. La stessa polemica messa in atto dalle opposizioni nei confronti dagli assessori regionali alla sanità risulta essere pretestuosa se non è accompagnata da un chiaro e forte “mea culpa”. Non basta versare lacrime di coccodrillo o criticare la disastrosa gestione dell’oggi se non si riconosce, con umiltà e autentica voglia di riprogettare il futuro, che l’errore è profondo e risiede nel mancato riconoscimento dei precetti costituzionali di diritto alla salute e alle cure, nel non rispetto dei Livelli Essenziali di Asssistenza, nel disinteresse dello Stato, delle Regioni e dei Comuni nell’assicurare le risorse sufficienti per il soddisfacimento dei bisogni di salute della popolazione più debole e fragile (elettoralmente poco affidabile), nel disinteresse della politica, e dei tecnici incaricati dalla politica, di ripensare modelli interamente fondati su tariffe giornaliere a posto letto e quindi rigidi e poco (o per nulla) sinergici con le altre forme di assistenza.

Che fare ?

Se si vuole davvero riparare agli errori del passato occorre ripartire dai fondamentali e pertanto riconoscere ad ogni forma di non autosufficienza, di fragilità, di bisogno di assistenza socio sanitaria il diritto (esigibile) alla cura e alla presa in carico del servizio Sanitario Nazionale universale.
Se davvero si hanno a cuore le persone anziane, i nonni e le nonne usate in questi giorni quali simboli di solidarietà intergenerazionale, di riconoscenza, di affetto occorre che sia a loro riconosciuto, come individui, e non come “problemi o complicanze famigliari”, il diritto alla cura.
  • Occorre ripartire dai bisogni e non dai budget, dai diritti e non dal contingentamento della domanda, altrimenti si accetta di principio che il Servizio Sanitario non sia Universale e che si possa limitare la domanda di servizi (che è cosa diversa dal rendere compatibile e sostenibile l’offerta di servizi).
  • Occorre che il Servizio Sanitario Nazionale sia titolare dei percorsi di salute e non pagatore di posti letto nei quali segregare la domanda di prestazioni. L’assistenza pagata dai Comuni e dalle persone interessate deve integrare la spesa sanitaria con progetti specifici di relazione con la comunità e il territorio.
  • Occorre investire sulla telemedicina, sulla riabilitazione domiciliare, sul coinvolgimento dei famigliari nell’erogazione di prestazioni socio assistenziali attraverso agevolazioni (Legge 104/92) e riconoscimenti anche economici alle prestazioni di cura.
  • Occorre investire sui servizi socio sanitari territoriali e domiciliari, su un diverso ruolo e distribuzione dei medici di medicina generale dando ai Distretti Socio sanitari compiti di governo e coordinamento di tutti i servizi sanitari di natura territoriale allo scopo di progettare la presa in carico, la prescrizione, il monitoraggio del percorso di cura.
  • Occorre ripensare il sistema tariffario rendendolo flessibile e orientato al risultato e non allo strumento del posto letto, rendendo di conseguenza più agevole scegliere percorsi appropriati, flessibili, “su misura” del bisogno riscontrato.
  • Occorre valorizzare il dialogo e la coprogettazione con il terzo settore, e prevedere la presenza di un ruolo pubblico anche nella gestione allo scopo di sperimentare buone pratiche, tecnologie, nuove sinergie di filiera e territoriali.
  • Occorre rendere semplici e immediati (modulo di richiesta web) i contratti per assistenti famigliari, rendendo possibile l’incontro tra domanda e offerta con agenzie pubbliche, allo scopo di rendere più stabile e qualificata sia l’offerta che la domanda.
Queste sono alcune idee di “Antivurs” per ripartire con un Servizio Sanitario Nazionale che, se attuato, non si sarebbe trovato impreparato a gestire l’emergenza. Le RSA (su direzione dei Distretti Socio Sanitari) avrebbero potuto essere una grande risorsa per contenere il contagio (RSA con standard sanitari adeguati a seguire i casi COVID di lieve – media inetnsità) ed essere rapidamente collegate a prestazioni domiciliari per i casi risultati negativi ai test.
Purtroppo il fatto di essere considerate strutture assistenziali (con contributo sanitario) ha prodotto un sostanziale disinteresse nelle forniture dei DPI e nell’assunzione di decisioni adeguate e rapide da parte delle unità di crisi. Ha inoltre messo in luce la totale inadeguatezza dei Comuni e degli enti gestori dei servizi socio assistenziali quali riferimenti di governo di queste strutture.
Ne vogliamo discutere ?
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