C’è una casetta piccola così … febbraio 2019 di D. Brignoli

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È da un po’ che non scrivo. Distrazioni, impegni, preoccupazioni, pigrizia. Per fortuna non mi paga nessuno, scrivo se ne ho voglia. E per un po’ non ne ho avuta. Non che nel frattempo non sia successo nulla; evidentemente, con mio sommo disappunto, qualcosa capita indipendentemente dai miei commenti. Ma in un mondo che fagocita tutto in tempi rapidissimi fermarsi ogni tanto può essere utile. Altri per fortuna la pensano così. Qualcuno l’ho trovato, è iniziata una collaborazione, ne sono scaturiti interessanti momenti di confronto e dibattito che abbiamo offerto alla città. La riprova che è ancora possibile, anzi doveroso, insistere e lottare con ogni mezzo contro l’indifferenza, l’apatia, lo scoramento.

Una serata con Miguel Gotor e Federico Fornaro a parlare del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. Due attenti e informati testimoni di una vicenda ancora non chiara, nonostante i processi, le inchieste, le commissioni parlamentari. Le omissioni, le menzogne, le reticenze, le tensioni geopolitiche, i servizi segreti nostrani e stranieri, le domande senza risposta, le verità “concordate”, le verità “dicibili”. La verità ancora lontana. E una preoccupazione diffusa riguardo quanto è avvenuto e può avvenire. Della serie: attenzione, conquistare la democrazia è faticoso, ancor più difficile conservarla.

Una serata con Chiara Geloni, il suo libro “Titanic come Renzi ha affondato la sinistra”. Il racconto schietto e senza sconti di un periodo doloroso, di sconfitte che hanno portato la sinistra a schiantarsi contro un iceberg. Qualcuno l’ha definita una sorta di seduta di psicoanalisi; quanto “psico” non saprei dire, di “analisi” sicuramente sì. Esattamente quella che è mancata per troppo tempo, che chi per primo l’avrebbe dovuta fare non ha fatto. Complimenti dunque a Chiara, alla sua passione, alla sua attenzione.

Il tempo corre veloce e ripensando alle settimane trascorse rimangono nella memoria le tracce di alcuni eventi significativi. L’aggressione subita da Arturo Scotto la notte di Capodanno, preoccupante segnale del clima torrido che si respira, confermato da una serie interminabile di imbecilli (ma non giustifichiamo questi atti come semplice imbecillità) dediti a scritte antisemite, insulti e vandalismi vari; ragazzini di terza media che apostrofano con un “comunista di merda!” la compagna che non la pensa come loro. “Resisto e combatto” è la risposta di Arturo al mio messaggio. Confermo: resistiamo e combattiamo.

Le elezioni in Emilia Romagna sono una boccata d’ossigeno. Non sono tra gli entusiasti che cantano vittoria, mi limito alla soddisfazione di aver evitato il naufragio. Bello aver vinto, resta la fragilità di una vittoria locale, quanto esportabile non so. Mi rimane impressa un’immagine, la raffigurazione della distribuzione del voto: il voto a sinistra concentrato nelle città, con un progressivo ribaltamento di fronte a mano a mano ci si allontana. La periferia, anzi, le periferie, non trovano le risposte che cercano.

Non si tratta semplicemente di recuperare consenso e voti, si tratta di comprendere e agire, dare risposte, immaginare e proporre un progetto, una risposta. Le strategie non bastano: per anni si è rincorso il centro, dimenticando i tanti che sono rimasti ai margini. Il risultato è stato che la

destra ha individuato un progetto, ha fatto proposte, ha indicato risposte. Non ci piacciono, alcune non sono nemmeno possibili, altre sono false, sbagliate, becere. Ma ci sono e qualcuno ci crede. Magari perché disperato, incazzato, disilluso … e vota lega Salvini.

La sinistra, o meglio l’arcipelago che alla sinistra, o al centro sinistra (con o senza trattino) si ispira, non “sfonda”, appare incerta, dà la sensazione di limitarsi ad opporsi, contrastare. Proposte, idee, progetti faticano ad emergere. Si carica, come sempre, di responsabilità, e la responsabilità non premia. Eppure non mancano gli aspetti positivi e incoraggianti.

Le sardine sono state una sorpresa, non so quanto determinante ma sicuramente interessante. Un fenomeno non nuovo. Non si chiamavano sardine, ma negli ultimi anni abbiamo visto altre piazze piene di gente, impegnate più su temi specifici (l’immigrazione, il clima, le disuguaglianze, il lavoro …) che su progetti politico-elettorali. Comunque una ventata di aria fresca. Questo hanno portato le sardine. Ma la freschezza non dura e potrebbe non bastare.

Il successo personale di Elly Schlein non è stato invece una sorpresa, semmai una conferma. Elly è donna, è giovane, è soprattutto brava e coerente. E coraggiosa. Tutti ci aspettiamo molto da lei, ma non sarà una donna sola al comando a risollevare le sorti della sinistra; ed è lei stessa a dirlo. Alla lista Coraggiosa ha lavorato con Errani e “… c’è un percorso di crescita comune nel mettere insieme una cultura politica come la mia e quella di persone come Errani e Bersani, da cui c’è sempre da imparare. La politica è proprio questo. È contaminazione. Non chiusura dietro steccati ideologici.” Contaminazione. Altro che rottamazione. Anni luce dal narcisismo egemonico renziano.

Ora si torna a parlare di unità. In realtà non si è mai smesso ma la frammentazione non la si è ancora superata. Una nuova coscienza pare profilarsi all’orizzonte, ma non può esistere unità senza pluralità. Questa potrebbe essere la lezione dell’Emilia Romagna. Inevitabile che il PD catalizzi su di sé la maggior parte dei voti, ma da solo non va da nessuna parte, e tanto meno il frammentato arcipelago a sinistra. È tempo di un centrosinistra plurale, con un PD aperto (ed è bene che si apra) e una forza di sinistra. Credo sempre meno ad un unico partito che comprenda tutti. Perché questo accada occorre che ognuno faccia la propria parte, che ognuno si metta a disposizione; senza prevaricazioni e pretese egemoniche. Due strade: quella delle istituzioni, dell’amministrazione, del governo e quella della cultura politica, del partito, della rappresentanza, delle idee e dei principi.

Il governo è il luogo dell’accordo, del compromesso. Quello nobile, non l’inciucio. Lasciamo ai novelli Ghino di Tacco il ruolo di “ego della bilancia”. È possibile portare il proprio contributo, le proprie idee, le proprie capacità all’interno di un progetto più ampio anche come forza minoritaria. Roberto Speranza è l’incarnazione stessa di questa possibilità. Le modalità con cui interpreta il ruolo di Ministro della Salute la prova.

Il partito invece è il luogo dell’elaborazione, della proposta, della rappresentanza. Un passo avanti alle esigenze degli accordi di governo. Inflessibile e intransigente sui principi, radicale nelle proposte, appassionato nell’impegno, intelligente e realista nella scelta di metodi e alleanze. La casa, magari piccola, dove tracciare percorsi e progetti. E in un momento in cui tanti si sentono senza casa può essere utile. Superfluo riprendere ancora una volta i detti e stradetti temi dell’agenda, resta il tema centrale, in una visione di sinistra: la lotta alle disuguaglianze. Lottare

contro le disuguaglianze significa costruire un’alternativa e non un’opposizione a Salvini e alla destra. Significa riconoscere i diritti, prima di tutto riguardo la salute, il lavoro, le opportunità. Significa dare risposte a chi è rimasto indietro, a chi più di altri ha subito i morsi della globalizzazione fuori controllo, anche se non appartiene alla classi che la sinistra ha tradizionalmente voluto rappresentare. Populismo e nazionalismo sono apparsi (o meglio qualcuno è riuscito a farli apparire tali) come le risposte adeguate al malessere espresso da tanta gente che in questi falsi miti ha riposto fiducia. L’astensione come sola alternativa. Riannodare il filo interrotto con quei cittadini è l’obiettivo primario, non si tratta solo di recuperare il loro consenso e i loro voti.

Confido che il nostro partito, “una casetta piccola così” come cantava Lucio Dalla, continui a coltivare queste ambizioni. Nel suo ruolo di stimolo, parte del tutto, ingrediente. Essenziale. Una busta di lievito. Sedici grammi, un niente. Senza quel niente però la torta non si fa.

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