Dario Omenetto: Riflessione politica sulla crisi di Governo

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Su Repubblica di oggi, 17/8, sono apparsi due articoli (l’intervista a Landini e la “lettera aperta” di Bersani) che, a mio avviso, non solo si completano ma paiono il risultato di una virtuale tavola rotonda alla quale entrambi contemporaneamente hanno partecipato.

L’assonanza è, direi, completa: strategia politica (seppur declinata in “sindacalese”) e contenuti delineano quale debbano essere i caposaldi per da un lato le prossime ore e, contemporaneamente, le auspicabili future scelte di un futuro Governo.

Manca, e confesso che ancora non mi è chiaro il “retroscena”, il PD di Zingaretti. Ciò che voglio dire è che se non ci sono dubbi sulla strategia, con la s minuscola, del PD di Renzi (mantenere il controllo dei gruppi parlamentari per avere più tempo da dedicare alla costruzione  del suo partito personale), trovo francamente anacronistico che non vi sia una chiara, forte, netta presa di posizione del “titubante” Zingaretti in merito al “che fare”.

Capisco che le o la decisione potrà avvenire dopo le dimissioni dell’attuale governo giallo/nero, o dopo  la sfiducia a Conti, o  dopo le consultazioni del Presidente, o dopo l’incarico per formare un nuovo, speriamo, Governo ma continuare a dire, almeno questo “passano” tutte le reti televisive ed i giornali, che “il PD è pronto per le elezioni “  (o capito,  ma per perderle?) mi pare riduttivo, debole, ancor più se il mantra è “devo tenere unito il Partito (ho capito, ma non sarai Tu a deciderlo!).

Spero che molte amiche e amici e/o compagne e compagni del PD di Zingaretti leggano i due articoli e, nelle loro sedi politiche esercitino quella democratica “pressione” affinché i loro vertici nazionali cambino registro. Pena perdere la seconda possibilità di perlomeno “parlare” con il mondo pentastellato che, lo ricordo sommessamente, la “parte di destra” l’ha già ceduta, alle Europee, alla Lega. E dico seconda perché la prima, grazie al vero responsabile del mortale, per il Paese e per la democrazia, abbraccio tra Di Maio e Salvini, NON DIMENTICHIAMOCELO MAI, è stato il Senatore toscano.

Ho già scritto che il compito è arduo, irto di ostacoli e trappole, di personalismi compiacenti alle divisioni (vedi oggi il Calenda di turno, uomo che nemmeno con il centro-sinistra ci “azzecca “ qualcosa) ma attenzione, guai a noi se dimentichiamo che nel 2022 ci sarà l’elezione del Presidente della Repubblica. Il “neo fascismo salviniano” più il “neo fascismo meloniano” più il mai sopito grandeur dell’omino di Arcore, se legittimati da un voto in gran parte emotivo ma pur  sempre voto espresso, consentirebbe, entro quella data, di modificare alla radice la nostra democrazia parlamentare trasformandola in una repubblica presidenziale alla Putin. Dopo di che il passaggio ad una “neo dittatura anni 2000” sarebbe il logico epilogo.

Se vogliamo che ciò non accada, perché può accadere – non è fantapolitica – , sarà bene , cari democratici di tutte le latitudini, darsi una mossa, magari mangiando qualche, diciamo con eufemismo , boccone amaro e turandosi, in certe occasioni, il naso; niente, però, in confronto del sacrificio di  quelli morti nella Resistenza e durante le lotte operaie e contadine nei momenti più bui della nostra giovane democrazia, conquista, quest’ultima,  da non considerarsi eterna ed indiscussa.

 

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