Una nuova fase politica.
Prima di riflettere sul che fare ora permettetemi di ricordare ciò che abbiamo fatto fino ad ora.
Al netto dei molti errori credo sia utile porci la domanda sul perché e attorno a quali ragioni nasce l’esperienza politica di Articolo Uno.
Una nuova fase politica.
Prima di riflettere sul che fare ora permettetemi di ricordare ciò che abbiamo fatto fino ad ora.
Al netto dei molti errori credo sia utile porci la domanda sul perché e attorno a quali ragioni nasce l’esperienza politica di Articolo Uno.
Innanzitutto nasciamo a seguito della battaglia referendaria, che ha visto molti di noi impegnarsi senza riserve contro a quella che abbiamo ritenuto (a mio avviso a ragione) una svolta autoritaria nell’organizzazione dello Stato. La pasticciata e arrogante modifica della Costituzione avrebbe consegnato di fatto al Presidente del Consiglio un potere enorme e senza contrappesi. Il tutto nell’ambito di un modello maggioritario ed una legge elettorale truffa che dava maggioranze bulgare anche a chi in realtà non superava il 20% – 25% dei consensi reali nel paese.
Seconda ragione: siamo nati per contrastare un progetto politico che puntava a stabilizzare il paese attorno ad un patto scellerato tra centro destra e centro sinistra (il cosiddetto Patto del Nazzareno) che in sostanza aveva il compito di imporre una politica centrista e liberista (cioè profondamente di destra sul piano economico e sociale e aperta invece su alcuni temi di diritti civili) all’interno di uno schema che, almeno nelle intenzioni dei suoi propositori, avrebbe superato l’ormai obsoleta divisione tra destra e sinistra a favore di una più moderna divisione tra forze politiche compatibili e di sistema e forze politiche populiste e di antisistema.
Siamo nati per contrastare la costruzione del cosiddetto “partito della nazione” (o patto tra Renzi e Berlusconi) che doveva insediarsi stabilmente grazie il combinato disposto tra legge elettorale iper maggioritaria e riforma costituzionale iper autoritaria e centralista. Il tutto su uno sfondo di anti politica da cavalcare a più non posso a favore di un rapporto diretto tra leader e popolo con l’uso dei moderni strumenti di comunicazione sempre più pervasivi, invasivi, individuali e manipolabili.
Abbiamo combattuto contro questa deriva e, almeno in parte, abbiamo contribuito alla sconfitta di questo progetto.
La terza ragione, seppur tardiva, è stata la crescente consapevolezza del carattere regressivo, e causa di crescente emarginazione dei lavoratori, delle politiche sociali ed economiche del governo di Centro Sinistra.
Job act, buona scuola, distribuzione di bonus una tantum e assenza di investimenti in università, ricerca, sviluppo e occupazione, innalzamento indiscriminato dell’età di pensione, ciniche politiche sull’accoglienza e di gestione dei flussi di immigrazione, blocco dei contratti collettivi nazionali e rottura delle relazioni sindacali, sono solo alcuni esempi di scelte e politiche che hanno distrutto il legame tra il centro sinistra e parte importante del proprio elettorato.
Siamo nati per reagire alla svolta liberista del PD di Renzi e del centro sinistra.
Avevamo visto giusto, sia dal punto di vista dell’oggettivo restringimento degli spazi di democrazia e di conseguente drastica riduzione dei rapporti di forza per i lavoratori e le loro organizzazioni e per le masse popolari in generale, sia in termini di degenerazione dei comportamenti politici che una tale visione arrogante e autoreferenziale della politica e dei suoi strumenti avrebbe inevitabilmente prodotto.
Una concezione della politica fondata sull’imperativo di conquistare ad ogni costo crescenti spazi di potere pubblico ad uso e consumo del leader, di una ristretta cerchia di persone fedeli, e di estesi interessi economici da avvantaggiare e con cui scambiare risorse e potere.
Abbiamo visto giusto perché abbiamo denunciato l’esistenza di una “questione morale” nella competizione permanente tra comitati elettorali diventati la vera struttura organizzativa del PD, nella totale sovrapposizione tra responsabilità di direzione del partito e funzioni istituzionali, nel restringimento della funzione della politica alla sola funzione di rappresentanza istituzionale e di occupazione di quote di potere pubblico.
Ogni qual volta si confonde la politica, ovvero la libera partecipazione organizzata degli interessi sociali alla vita pubblica, con l’occupazione del potere e dello Stato da parte di ristrette élite che, in combutta tra loro, tendono a sostituire al concetto di rappresentanza dei partiti, dei cosiddetti corpi intermedi e delle organizzazioni sociali, quello della dominanza di maggioranze su minoranze attraverso l’utilizzo spregiudicato del potere pubblico, allora siamo in presenza di una “questione morale”.
Perché quel potere, da raggiungere a ogni costo sarà sempre più spesso comprato a caro prezzo, attraverso collusioni con poteri oscuri e contrari all’interesse pubblico, quando non anche con organizzazioni criminali.
E’ indispensabile riprendere il tema, a partire dalle lungimiranti parole di Enrico Berlinguer nella sua famosa intervista a Eugenio Scalfari del 1981 “La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.”
A partire dalla memoria delle ragioni da cui siamo nati oggi occorre riposizionare il nostro progetto nella nuova fase che si è aperta nel Paese anche grazie alla nostra ostinata e generosa presenza.
Il patto del Nazareno non c’è più, i 5 Stelle sono in aperta crisi di progetto, la destra è alla ricerca di una “costituente” che superi l’anomalia italiana, il centro è un terreno pieno di macerie ma potenzialmente concede uno spazio per chi saprà rioccuparlo con programmi e idee nuove, la sinistra non esiste più da tempo ma non ce la fa a prenderne atto e a proporre un nuovo progetto di ricostruzione della rappresentanza sociale e di innovazione politica e programmatica.
In altre parole il ritorno ad un sistema proporzionale e la crisi del sistema politico derivato dalla seconda repubblica, riconsegna a tutti la necessità di riorganizzare forze, idee e rappresentanze attorno ad un rinnovato schema di confronto democratico tra centro destra e centro sinistra.
Il nostro ruolo di “ricostruzione” si situa in questo snodo, nella nostra capacità di rappresentare uno stimolo e un contributo originale alla costituente di un nuovo centro sinistra. Occorre per questo la disponibilità ad una profonda ridiscussione critica dei contenuti e delle forme politiche protagoniste del decennio trascorso, e la messa in campo, su un modello federativo, di forze ed energie positive le quali, senza ansie di prestazione, ritrovino la volontà e la coerenza programmatica per offrire un progetto coerente di governo al Paese.
Articolo Uno deve arrivare in forma a questo appuntamento.
Con i punti fermi di una storia critica che ci ha caratterizzato e con i contenuti di chi vuole davvero superare in avanti il job act, la buona scuola, le missioni internazionali in Libia e in Niger, le politiche di accoglienza e di cooperazione internazionale, l’uscita dalle logiche liberiste che non hanno prodotto miglioramenti nelle economie nazionali in cui sono state applicate, il rilancio dei servizi pubblici di welfare, la proposta di nuovi modelli di sviluppo eco sostenibili e ad alta intensità di lavoro.
Ma sopra tutto Articolo Uno deve fare del suo nome una bandiera.
Il diritto al lavoro e più potere alle lavoratrici e ai lavoratori.
Il contrario di quello che è successo negli ultimi 10 anni.
La sinistra deve tornare ad essere la casa naturale di tutti le lavoratrici e di tutti i lavoratori: quelle a tempo pieno con un posto stabile, quelle precarie, quelle saltuarie, quelle che lo cercano, quelle che sono andate in pensione, le partite IVA, i soci delle cooperative, gli artigiani, gli agricoltori, le contadine, le imprenditrici e gli imprenditori di piccole e medie imprese.
Articolo Uno deve far tornare protagoniste del cambiamento le persone che lavorano e producono. L’innovazione non è mai neutra, ci sono enormi possibilità di crescita, di ricchezza e di redistribuzione dei redditi a condizione che prevalgano gli interessi di chi lavora e produce su quelli che speculano e godono di privilegi e rendite immeritate.
Lo spazio per rappresentare questi interessi c’è, la necessità della costituente di un nuovo centro sinistra altrettanto, ci dobbiamo rivolgere con convinzione a tutti coloro che vogliono contribuire alla ricostruzione della sinistra, che ne sentono l’esigenza, e chiedergli senza mezzi termini di aderire ad Articolo Uno e partecipare con noi a questo nuovo grande obiettivo.