Relazione Segretario Regionale 1 Febbraio 2020

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Inizio questo intervento irrituale con una serie di domande, le quali, a mio avviso, se proviamo a rispondere potrebbero aiutarci a definire meglio i nostri futuri comportamenti. 

  1. Cos’è la destra e cos’è la sinistra.

Immagino che in sala siano in molti a dirsi “io lo so”. 

Ed è certamente così perché su questa domanda già si sono cimentati in tanti e, Bobbio in particolare aveva già dato una definizione semplice e convincente, in grado di essere riassunta e compresa facilmente: la distinzione politica tra destra e sinistra consisterebbe nel fatto che la sinistra tende all’uguaglianza tra le persone e alla rimozione dei fattori politici e sociali che la impediscono, la destra viceversa tenderebbe a privilegiare come visione sociale la competizione tra individui e la valorizzazione del più forte (o più meritevole) nella convinzione che le ineguaglianze siano ineliminabili e che la società possa progredire meglio se resa maggiormente competitiva.

Più o meno così senza fare eccessive caricature o estremizzare i concetti dell’una e dell’altra parte. 

Facile e abbastanza chiaro. 

Un buon riferimento per stabilire i confini di un campo politico di idee, proposte, ideali che partecipi al gioco della dialettica democratica. 

  1. Più complessa e dunque incerta è la domanda cos’è di destra e cos’è di sinistra.

Ci aveva provato il “qualunquista” Gaber a problematizzare e a tratti ridicolizzare i comportamenti classificabili a destra e a sinistra.  In un periodo in cui essere di destra o di sinistra caratterizzava spesso non solo appartenenze partitiche ma anche comportamenti e scelte individuali, stili di vita, e a volte discutibili scelte morali ed etiche ci si interrogava su cos’è di destra e cos’è di sinistra.

Come è ovvio non si è mai giunti ad una definizione univoca neppure parziale.  

  1. Più complessa e incerta ancora è la domanda chi è di destra e chi di sinistra.

A sentire le ricostruzioni storiche De Mita era di sinistra, e lo era anche Craxi, anzi, lui era una delle più autorevoli espressioni della sinistra italiana e, a sentire i discorsi di oggi Fico sarebbe di sinistra (assieme a Grillo), Di Maio di centro e Di Battista di destra. Ma i 5 Stelle sono di sinistra ? e il Partito Democratico, e Renzi ? 

Chi è di destra e chi è di sinistra è una domanda a cui è davvero difficile rispondere. Dipende in parte dai comportamenti e dalle politiche concrete adottate (ad esempio con tutta la buona volontà e il curriculum che si porta dietro mi risulta davvero impossibile considerare Minniti uomo di sinistra, ma sono altrettanto in difficoltà a collocarlo a destra). 

C’è chi per far prima oggi considera di sinistra ciò che non è di destra, una definizione complementare e a geometria variabile diciamo.  

Per concludere questo primo ragionamento arriverei alle seguenti conclusioni:

  • Definire il concetto di sinistra in modo debole (come fa Bobbio) è una condizione necessaria per stabilire i confini di un campo largo e indistinto, certamente esistente nella società e nel confronto politico entro il quale organizzare (almeno in parte) la dialettica politica e il confronto democratico. 
  • Altrettanto vero è che questa definizione non è affatto (o lo sempre di meno) sufficiente a motivare le persone nelle proprie scelte di appartenenza politica.
  • Più ancora lo spazio definito sinistra è un non luogo nel quale il ceto politico si auto referenzia, spesso opportunisticamente per logiche elettorali (vedasi ad esempio il caso dei Moderati in Piemonte) e a prescindere dalla necessaria coerenza tra le affermazioni di principio e l’agire politico concreto. 

In assenza di un’egemonia culturale forte, di un ritorno a ideologie motivanti e di una visione di lungo respiro di trasformazione sociale, la definizione di sinistra (o di centro – sinistra) non è in grado di svolgere pienamente, a mio avviso, quel ruolo di rappresentanza popolare e di interessi che, in democrazia, è necessaria.

In assenza di un corpus teorico sufficientemente solido e definito (anche se non dogmatico), capace di proporre chiavi di interpretazione generali sulla struttura economica, sociale, geopolitca della società attuale e proposte di cambiamento profonde delle condizioni che generano discriminazioni, ineguaglianze, rotture nei rapporti tra l’uomo e l’ambiente, il concetto di sinistra (o centro – sinistra) si sfuma a tal punto da appartenere solamente ad un sempre più ristretto ambito di ceto politico.   

Il concetto di sinistra, per esistere nel concreto dello scontro politico e sociale, deve essere collegato ad una concreta e coerente idea di appartenenza sociale (lavoratori) e a una concreta e coerente lotta allo sfruttamento delle persone e delle risorse scarse ad opera di altre persone e/o organizzazioni. 

In altre parole non credo che ci possa bastare un generico appello o manifestazione che punti al rilancio di una sinistra indistinta, né penso che ci possa bastare la pur fondamentale tenuta del blocco di sinistra in Emilia. 

Le elezioni emiliane ci consegnano appunto questo messaggio. Esiste ancora un blocco di sinistra, o meglio, disponibile ancora a mobilitarsi contro la destra, ma è motivato da un sentimento di difesa, necessario forse a riportare il confronto politico nello schema bipolare destra – sinistra ma del tutto insufficiente a riconquistare lo spazio sociale occupato dalla destra in questi anni.

Abbiamo tutti bisogno, per impegnarci e non solo tifare, di credere che i nostri sforzi possano davvero incidere e contribuire nel lungo periodo ad avere una società più giusta. 

Dopo aver registrato e festeggiato il buon risultato, e dopo aver preso atto che si è tornati (parzialmente e a causa o merito principalmente della legge elettorale) a uno schema di bipolarismo destra – sinistra, quello su cui dobbiamo ragionare è quale apporto possiamo portare alla discussione che finalmente si è aperta nel PD e nel Movimento 5 Stelle sia allo scopo di consolidare nell’immediato l’alleanza giallo rossa ed evitare elezioni nazionali che consegnerebbero il paese alla destra salviniana, sia di partecipare (e con quale vestito) alla discussione politica che si è aperta.

E allora permettetemi di porre ancora un paio di domande.

Qual è lo scopo della politica ?

Un giorno Federico Fornaro ebbe a dirmi che il riformismo assegna alla politica il compito di organizzare la rappresentanza istituzionale per cambiare, attraverso l’azione legislativa e amministrativa, la società. 

Io penso di potermi definire un appassionato riformista, la ricerca di soluzioni concrete ai problemi di organizzazione sociale e delle persone è un’attività per me motivante e a cui mi sono dedicato nella mia vita (e tutt’ora mi dedico) in modo intenso e appagante. 

 Tuttavia penso che questa definizione che condivido, sia oggi uno dei principali problemi che abbiamo di fronte. 

In questi 20 anni, sull’altare della “concretezza” resa possibile solamente da un’azione di governo delle istituzioni democratiche si è perso totalmente il significato del cosiddetto “primato” che la politica deve avere sulle altre attività di rappresentanza e di azione sociale, compresa quella condotta nelle istituzioni. 

E’ un dibattito antico che non intendo riproporre oggi, però fatemi dire che una delle peggiori conseguenze della deideologizzazione dei partiti di sinistra conseguente alla caduta del muro di Berlino e alla crisi dei modelli ideologici dell’800 e inizi 900 è stata la progressiva adesione e accettazione acritica alle “logiche immutabili e date” di sistema prevalenti su ogni altra considerazione o lettura politica e sociale tanto da diventare (l’immutabilità del sistema) la nuova vera ideologia o pensiero unico a cui assoggettare ogni altra azione. 

Recuperare l’autonomia e per certi versi il primato della politica non significa abbandonare la vocazione “riformista” ma tornare alla consapevolezza che le istituzioni sono il luogo del compromesso o se preferite la risultante di rapporti di forza sociale e che la trasformazione della società non può esaurirsi nei pur importanti decreti legge o atti amministrativi. 

Si tratta di rimettere le cose a posto tra obbiettivi, e strumenti necessari per raggiungerli.

E in questa discussione vi è la considerazione, a mio avviso più importante di tutte, sul partito e sulle sue funzioni politiche e di rappresentanza. 

Se la politica è intesa solamente come azione di “governo” e attività istituzionale per realizzare le cosiddette “riforme”, in quanto in parallelo non si riconosce più quale azione politica rilevante quella di aggregazione sociale, quella associativa e di partecipazione, quella dei cosiddetti corpi intermedi di rappresentanza, quella dei centri studi, quella della imprese sociali o di cooperazione, allora i partiti non servono e non hanno ragion d’essere e infatti, rapidamente si sono trasformati in comitati elettorali per lo più in competizione tattica e di posizionamento in vista delle sfide (sempre più numerose) elettorali per contendersi il “potere” (spesso anche solo di carta). 

Il dramma è che un’intera generazione di quadri politici, a destra come a sinistra, ma anche di commentatori, di giornalisti, di opinion leader, è cresciuta in questi venti anni con questi principi in testa e oggi diventa difficile pensare o sperare ad un repentino cambio culturale di tutte queste persone che per altro dovrebbero essere quelle che dovranno prendere l’iniziativa. 

C’è a tal proposito, io credo, poco da sperare e l’epicentro di questa degenerazione è proprio il Partito Democratico (pur senza tralasciare le evidenti contraddizioni maturate nel movimento 5 stelle).

Occorre a mio avviso che la discussione sia riportata con intelligenza e ostinazione su questo punto. Il partito della sinistra deve tornare a ragionare sul lungo periodo (più lungo di una pur stabile azione di governo), deve tornare a proporre speranza sui cambiamenti futuri e risposte alle grandi inquietudini del tempo (il clima, l’immigrazione, il lavoro, le pensioni, l’assistenza che non c’è, la fragilità della famiglia) e che per questa ragione possono essere più radicali della sola azione di governo e beneficiare di un consenso più ampio e appassionato capace di contendere alla destra lo spazio della rappresentanza sociale che si è presa in questi anni. 

Non vedo altre soluzioni alla necessaria ricomposizione da un lato di un campo largo debolmente definito di centro sinistra entro il quale definire alleanze e nel contempo la ripresa di una politica che non si basta, e ritrova le ragioni per definirsi con sostantivi più precisi (a me ad esempio andrebbe bene socialista, ma anche progressista o democratico se si precisa ideologicamente cosa si intende).

Non vedo altre soluzioni che siano diverse da quella di rivendicare politiche più nette e comprensibili che non necessariamente trovino immediato riscontro nell’azione di governo ma rendano evidente e chiaro il percorso proposto. Ne è un esempio la richiesta di rimettere in discussione il job act o di recedere unilateralmente dall’accordo con la Libia, o di assicurare la riduzione della tasse sul lavoro. 

Non vedo altre soluzioni che riportare il confronto politico (come stiamo cercando di fare ma in modo a mio avviso troppo ristretto e chiuso) sui grandi temi della trasformazione tecnologica e sociale, dell’organizzazione del lavoro e dell’economia, della convivenza pacifica, della salvaguardia delle risorse ambientali, della democrazia, con la voglia di tornare ad elaborare proposte nuove a partire da una critica serrata di ciò che non va visto con gli occhi della fondamentale definizione di sinistra e destra. 

Ad esempio occorrerebbe avviare una campagna di forte critica alla democrazia miliardaria che ormai si è affermata non solo negli Stati Uniti ma anche nelle nostra competizioni elettorali. Non è possibile che da  un lato si taglino i fondi di finanziamento ai partiti e dall’altro si tollerino campagne elettorali da milioni di euro.

Concludo lasciando a me e a tutti voi questo messaggio:   

Occorre essere consapevoli che dopo le elezioni emiliane siamo ad una svolta che, visto l’esito potrebbe non essere drammatica. 

Non vedo contraddizioni con la nostra pur breve storia a lavorare convintamente per ridare “come dice Speranza” un tetto alla nostra gente. Per quanto mi riguarda questo tetto però deve necessariamente essere nuovo e non frutto di una ristrutturazione con le vecchie abitudini, regole, politiche e cultura politica che ho lasciato senza alcun rammarico nel PD. 

Nutro poche speranze che ciò avvenga nel breve e con la forza necessaria ad un progetto nuovo, tuttavia per noi la speranza è sempre l’ultima a morire, e quindi credo che occorra chiaramente fissare pochi ma incondizionati punti fermi per la partecipazione ad  un progetto unitario.

Tra queste, per quanto mi riguarda, assegno priorità al ritorno di un’organizzazione politica fondata non più su comitati elettorali ma su un autentico pluralismo di idee e, mi dispiace per Prodi, qui il problema non sono le tessere ma la bulimia per gli incarichi pubblici di cui lui è una pur nobile espressione. 

Io voterò per la riduzione di parlamentari non perché sia convinto che questo sia un sistema giusto ma perché spero possa aiutare a sconfiggere l’idea che in politica ci si impegna allo scopo di essere candidati (possibilmente in posti di sicura elezione). Sono troppe le persone che esistono politicamente solo in preparazione di elezioni o solo se investiti di incarico pubblico. Mi spiace dirlo ma fate anche voi mente locale su quanti sono stati compagni e amici letteralmente scomparsi il giorno dopo che è cessato l’incarico, questo a mio avviso è appunto il frutto del combinato disposto tra la totale assenza di un soggetto collettivo capace di valorizzare le esperienze politiche fatte dalle persone, unitamente a una preoccupante degenerazione culturale sulle ragioni profonde dell’impegno e della disponibilità alla militanza politica. 

Termino qui comunicando che parteciperò alla discussione nazionale che si terrà in direzione il 13 febbraio e invitando tutti voi a organizzare, se ci sono le condizioni, discussioni locali sul tema che stiamo affrontando, anche per iniziare a raccogliere le opinioni e la disponibilità di molti compagni e compagne a partecipare (speriamo non troppo in ordine sparso) ad un vero progetto della ricostruzione della casa comune della sinistra italiana. 

Grazie

  

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